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Santa Maria de Olearia : scheda di approfondimento
di Lina Sabino. Funzionario della Diocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni – Storico dell’arte direttore coordinatore della Soprintendenza B.S.A.E. di Salerno e Avellino.
Il complesso monumentale di Santa Maria de Olearia, è certamente da considerare tra i più importanti insediamenti monastici benedettini dell’intero territorio amalfitano. (Figura 1 e figura 2) Collocato lungo la statale amalfitana che collega il promontorio di Capo d’Orso con Maiori, il monumento, preziosa testimonianza di arte e architettura del primo medioevo, è stato reso noto, per la prima volta, nel 1871 dal Salazaro, che, nel volume Studi sui monumenti dell’Italia meridionale dal IV al XIII secolo, pubblicò alcuni disegni, di sua mano, riproducenti alcuni degli affreschi che ancora oggi vediamo.
Notizie della sua fondazione risalgono al primo arcivescovo di Amalfi, Leone – rivestì la carica dal 987 fino alla morte, avvenuta nel 1029 – che concesse a Pietro, un eremita che viveva in compagnia del nipote Giovanni, nel luogo in cui avveniva la lavorazione dell’olio, di edificare la chiesa di Santa Maria dell’Olearia, così come è riportato nel Liber pontificalis ecclesiae amalfitanae, Pietro era probabilmente un monaco eremita venuto in cerca di tranquillità e solitudine da qualche centro costiero della Sicilia o della Calabria, anche per sfuggire alle continue scorrerie dei saraceni, che nel corso del X secolo avevano invaso quelle regioni e causato un massiccio esodo di monaci greci. Cresciuto in seguito il numero degli anacoreti, richiamati dalla fama di santità di Giovanni, si rese necessaria la costruzione di un vero e proprio fabbricato. Ma l’evoluzione in senso monastico del sito avvenne dopo il 1087, allorquando l’eremo venne concesso dal Duca Ruggero Borsa a Pietro Pappacarbone, abate del monastero benedettino della SS.ma Trinità di Cava dei Tirreni. “L’inglobamento” del piccolo monastero nell’area benedettina costituiva un’operazione molto frequente all’epoca e rientrava nel programma di latinizzazione dei centri cosiddetti basiliani. Il primo abate fu Taurus, così come ricordato in una lapide commemorativa priva di data, mentre l’ultimo fu, nel secolo XVI, Giacomo Silverio Piccolomini.
L’abbazia nel 1580 venne poi incorporata nel Capitolo della Cattedrale di Amalfi da papa Gregorio XIII. La lunga storia di disinteresse e negligenza risale ai secoli lontani dell’amministrazione della Badia da parte degli abati commendatari prima e del Capitolo amalfitano poi; l’Ughelli (1721) ne riporta lo stato di abbandono già agli inizi del Settecento, condizione che si protrasse anche dopo il 1866, data di ingresso del vecchio convento nel Demanio dello Stato.
Dell’antico complesso monastico rimangono oggi le tre chiesette sovrapposte, mentre il restante edificio è stato completamente trasformato per essere adibito a civile abitazione. Ricavato all’ombra di un grande antro roccioso naturale, a lato della provinciale che collega Salerno con Amalfi, prima della realizzazione della strada, doveva presentare le conformazioni di un insediamento rupestre .
La caratteristica costruttiva delle architetture è data dai materiali che, ad eccezione dei marmi come colonne, capitelli, lastre, realizza una muratura in semplice pietrisco di roccia e malta ricoperta da intonaco. Per quanto suggestivi siano i connotati architettonici ed ambientali del sito, i dipinti che lo decorano però costituiscono il dato di maggiore interesse. Essi rappresentano uno tra i più importanti gruppi di dipinti murali in Campania che ci siano pervenuti dal primo medioevo, tanto che alcuni di essi sono probabilmente i più antichi rimasti dell’epoca del ducato medievale amalfitano.
Si tratta di tre diversi cicli pittorici, tutti medievali, ma eseguiti in tempi diversi, dislocati in altrettanti ambienti sovrapposti di destinazione cultuale.
Il complesso monumentale di Santa Maria de Olearia, è certamente da considerare tra i più importanti insediamenti monastici benedettini dell’intero territorio amalfitano. (Figura 1 e figura 2) Collocato lungo la statale amalfitana che collega il promontorio di Capo d’Orso con Maiori, il monumento, preziosa testimonianza di arte e architettura del primo medioevo, è stato reso noto, per la prima volta, nel 1871 dal Salazaro, che, nel volume Studi sui monumenti dell’Italia meridionale dal IV al XIII secolo, pubblicò alcuni disegni, di sua mano, riproducenti alcuni degli affreschi che ancora oggi vediamo.
Notizie della sua fondazione risalgono al primo arcivescovo di Amalfi, Leone – rivestì la carica dal 987 fino alla morte, avvenuta nel 1029 – che concesse a Pietro, un eremita che viveva in compagnia del nipote Giovanni, nel luogo in cui avveniva la lavorazione dell’olio, di edificare la chiesa di Santa Maria dell’Olearia, così come è riportato nel Liber pontificalis ecclesiae amalfitanae, Pietro era probabilmente un monaco eremita venuto in cerca di tranquillità e solitudine da qualche centro costiero della Sicilia o della Calabria, anche per sfuggire alle continue scorrerie dei saraceni, che nel corso del X secolo avevano invaso quelle regioni e causato un massiccio esodo di monaci greci. Cresciuto in seguito il numero degli anacoreti, richiamati dalla fama di santità di Giovanni, si rese necessaria la costruzione di un vero e proprio fabbricato. Ma l’evoluzione in senso monastico del sito avvenne dopo il 1087, allorquando l’eremo venne concesso dal Duca Ruggero Borsa a Pietro Pappacarbone, abate del monastero benedettino della SS.ma Trinità di Cava dei Tirreni. “L’inglobamento” del piccolo monastero nell’area benedettina costituiva un’operazione molto frequente all’epoca e rientrava nel programma di latinizzazione dei centri cosiddetti basiliani. Il primo abate fu Taurus, così come ricordato in una lapide commemorativa priva di data, mentre l’ultimo fu, nel secolo XVI, Giacomo Silverio Piccolomini.
L’abbazia nel 1580 venne poi incorporata nel Capitolo della Cattedrale di Amalfi da papa Gregorio XIII. La lunga storia di disinteresse e negligenza risale ai secoli lontani dell’amministrazione della Badia da parte degli abati commendatari prima e del Capitolo amalfitano poi; l’Ughelli (1721) ne riporta lo stato di abbandono già agli inizi del Settecento, condizione che si protrasse anche dopo il 1866, data di ingresso del vecchio convento nel Demanio dello Stato.
Dell’antico complesso monastico rimangono oggi le tre chiesette sovrapposte, mentre il restante edificio è stato completamente trasformato per essere adibito a civile abitazione. Ricavato all’ombra di un grande antro roccioso naturale, a lato della provinciale che collega Salerno con Amalfi, prima della realizzazione della strada, doveva presentare le conformazioni di un insediamento rupestre .
La caratteristica costruttiva delle architetture è data dai materiali che, ad eccezione dei marmi come colonne, capitelli, lastre, realizza una muratura in semplice pietrisco di roccia e malta ricoperta da intonaco. Per quanto suggestivi siano i connotati architettonici ed ambientali del sito, i dipinti che lo decorano però costituiscono il dato di maggiore interesse. Essi rappresentano uno tra i più importanti gruppi di dipinti murali in Campania che ci siano pervenuti dal primo medioevo, tanto che alcuni di essi sono probabilmente i più antichi rimasti dell’epoca del ducato medievale amalfitano.
Si tratta di tre diversi cicli pittorici, tutti medievali, ma eseguiti in tempi diversi, dislocati in altrettanti ambienti sovrapposti di destinazione cultuale.
Il primo ambiente , la cosiddetta cripta, si trova a poco meno di dieci metri dal piano stradale e vi si accede, oggi, attraverso una doppia rampa di scala. Questo evidentemente costituisce il primo nucleo del romitorio.Quello che sembra essere l’ambiente principale è costituito da un’aula a pianta quadrata con tre absidi che si aprono sul lato orientale (Figura 3). Tutti i muri dovevano, in origine, essere dipinti, così come dimostrano frammenti di affresco presenti sulla parete occidentale, ma le zone affrescate più estese riguardano l’abside centrale e quella meridionale, risalenti presumibilmente all’insediamento primigenio.
Figura 3 - Santa Maria de Olearia
Figura 4 - Santa Maria de Olearia
In quella centrale si riconoscono le immagini di Cristo benedicente, vestito di una tunica bianca e mantello d’oro, recante nella mano sinistra velata un rotolo. La testa e la parte superiore del busto sono andate distrutte. Ai due lati sono raffigurati due angeli che indossano tuniche porpora e i loros bizantini con pietre preziose. L’angelo di destra è relativamente ben conservato.
Nell’abside meridionale sono rappresentate tre figure acefale (Figura 4): quella centrale, con ogni probabilità Cristo o un altro santo, indossa una tunica bianca e un mantello dorato e regge un rotolo nella mano sinistra velata. La figura laterale a destra potrebbe essere identificata come San Giovanni Battista, per l’indumento di pelle che indossa; anche questa reca un rotolo svolto. La figura a sinistra, forse, San Giovanni Evangelista, esibisce invece un libro. Il muro tra le due absidi conserva frammenti di un personaggio a figura intera che regge una croce. Dal punto di vista stilistico questi affreschi, per il trattamento del panneggio abbastanza rigido davanti con pieghe a tubicino e zigzagate sul lato, riconducono alla cultura medievale campana tra X e XI secolo.
A sud dell’ambiente descritto, in un secondo spazio rettangolare, sono gli affreschi, meglio conservati, in cui si riconosce una teoria di Santi composta da quattro figure (Figura 5): la prima, acefala e senza aureola, regge con le mani il modellino di una chiesa, ad indicare evidentemente il committente dell’opera, da riconoscere forse in Giovanni, nipote di Pietro il primo eremita; una seconda figura con la barba, veste bianca con clavi rossi, reggente un rotolo con la mano velata, è da identificarsi con San Paolo; al centro la Vergine orante, con la tunica rossa e il manto blu ed un santo barbuto in abito militare, forse San Giorgio. Sulla stessa parete in alto, è raffigurato un monticello da cui sgorgano i quattro fiumi del Paradiso.
Figura 5 - Santa Maria de Olearia
Il cattivo stato di conservazione non permette più di vedere ciò che in origine doveva essere un gruppo di figure e alla sommità la rappresentazione di Cristo sotto forma di agnello. Questo tipo di composizione è presente in molti esempi paleocristiani e del primo medioevo. E’ evidente in questi dipinti la prevalenza di caratteri bizantineggianti, trasferiti qui attraverso la pittura eremitica pugliese del primo trentennio del XI secolo. Le diverse datazioni da parte degli studiosi che si sono occupati dello studio di questi dipinti, indica la difficoltà di costruire una cronologia attendibile in assenza di dati documentari. Una scala esterna alla cripta conduce ad una spianata, antistante la parte più ampia della grotta, dove si trova una vera e propria chiesetta, la cappella della Vergine.
La parte sud di tale terrazza, recintata da un moderno parapetto che la divide dagli ambienti privati, si apre direttamente verso il mare. Lo spazio ad occidente è definito da un’edicola a tre archi sostenuti da colonne e capitelli di spoglio. Sul muro è sistemata la ricordata pietra tombale dell’abate Taurus (Figura 6 e Figura 7).
Figura 6 - Santa Maria de Olearia
Figura 7 - Santa Maria de Olearia
La piccola chiesa ha subito chiaramente notevoli rifacimenti nel corso dei secoli. E’ costituita da un ambiente monoabsidato, coperto da una volta a crociera, e da altri due spazi con volta a botte. Il primo, che funge da nartece, comunica con lo spazio principale attraverso una grande arcata; il secondo, si collega alla navata centrale, attraverso due archi sostenuti da una colonna con capitello di spoglio (Figure 8, 9 10 e 11).
Il secondo ciclo di affreschi deve il grave degrado all’alto tasso di umidità presente nella grotta e in buona parte allo sciagurato intervento di scialbatura ordinato nel 1602 dall’arcivescovo Giulio Rossini, rimosso negli anni Ottanta dalla Soprintendenza BAAAS di Salerno.
La realizzazione della cappella esprime l’evoluzione del sito verso una forma più organizzata in senso monastico da collocarsi successivamente al 1087, cioè quando l’eremo venne concesso dal Duca Ruggero Borsa a Pietro Pappacarbone, abate del monastero benedettino della SS. Trinità di Cava de’ Tirreni.
Figura 8 - Santa Maria de Olearia
Figura 9 - Santa Maria de Olearia
Figura 10 - Santa Maria de Olearia
Figura 11 - Santa Maria de Olearia
L’epigrafe dipinta sulla sua facciata, A.D. M.C.X., (Figura 12) sembra indicare l’anno della sua edificazione e con ogni probabilità dei dipinti che ne rivestono la volta e buona parte delle pareti. Nella navata meridionale, il ciclo di affreschi medievali, con scene cristologiche dell’Incarnazione e le figure di Santi del registro inferiore, convive con le decorazioni e le figure cinquecentesche dell’abside. Quest’ultima, infatti, è occupata dalle figure di due angeli musici nella parte più alta della calotta, mentre in basso il dipinto è quasi del tutto scomparso. Ancora esistente, a testimonianza di questa fase tarda, è la decorazione dell’arco con motivi “a grottesca” e la figura di un santo monaco sul lato meridionale.
Le scene che compongono il ciclo di affreschi più antico sono attinte da repertori bizantini, ma presentano una chiara impronta culturale campano-laziale, vicina alla coeva produzione degli Exultet.
Nella volta figura al centro un clipeo, che in origine probabilmente conteneva il busto di Cristo Pantocratore, ora del tutto perduto, sostenuto da quattro angeli a figura intera; i quattro restanti settori sono occupati da angeli a mezzo busto alternati ai simboli degli Evangelisti. Sotto ciascuno dei simboli è raffigurata una ruota da cui fuoriescono le fiamme, identificabili come le ruote e le fiamme descritte nella visione di Ezechiele.
Nei quattro angoli che connettono le pareti con la volta, all’interno di cornici cruciformi, sono inserite le figure a mezzobusto dei Profeti del Vecchio Testamento.
Scene narrative dell’Infanzia di Gesù Cristo occupano la maggior parte dei muri: l’Annunciazione, la Visitazione ed una frammentaria Presentazione al Tempio compaiono sulla parete meridionale, mentre su quella occidentale sono rappresentate la Natività, l’Annuncio ai pastori e la Lavanda del Bambino; molto frammentario è ciò che resta dell’Adorazione dei Magi della parete settentrionale. Sotto le scene narrative, su ciascuna parete, sono raffigurati tre santi: uno in piedi con il rotolo svolto; sull’angolo opposto una figura di monaco con la tonsura ed infine una santa monaca con un libro in mano.
Chiaramente afferente allo stesso ciclo decorativo è la frammentaria Crocifissione, raffigurata nella curvatura della volta nello spazio indicato come nartece, dove presumibilmente vi erano dipinti gli episodi della Passione.
Sulla stessa parete in basso si staglia la figura di un santo tonsurato riferibile al secolo XV. Sull’esterno, attraverso una scala inserita nell’edicola sopra descritta, si accede alla cappella di San Nicola, edificata sul tetto della cappella dedicata alla Vergine e quasi incassata nella roccia soprastante. E’ costituita da una piccola aula absidata con copertura a botte. Sul lato meridionale si apre una finestra e sul muro occidentale il varco di ingresso.
Sull’esterno della facciata, che dà sul piazzale sottostante, al di sopra della finestra è dipinto un medaglione contenente la mano di Dio verso cui sono rivolti due eleganti angeli osannanti (Figura 13).
Figura 12 - Santa Maria de Olearia
Figura 13 - Santa Maria de Olearia
L’abside del piccolo vano voltato, è collocata a settentrione e mostra la Vergine con il Bambino, del tipo della Hodegetria, affiancata da San Nicola e san Paolino, in abito vescovile, con un chiaro richiamo al ruolo svolto dai due nella difesa dell’ortodossia contro l’eresia (Figura 14).
Sull’arco absidale sono dipinti San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista entrambi con il rotolo. L’interno della facciata sud, di fronte all’abside, sulla finestra ad arco, è raffigurato un medaglione contenente il busto del Cristo e ai due lati San Cesareo e San Nicola. Sulla volta si staglia un clipeo, contenente il Cristo Pantocratore, sostenuto da quattro angeli.
Sulla parete orientale sono raffigurate scene di miracoli di San Nicola: San Nicola salva tre uomini dall’esecuzione; San Nicola appare a Costantino; San Nicola appare ad Abalabio; Tre generali ringraziano San Nicola; Storia di Mare; sulla parete opposta si svolgono due teorie di santi, il cui riconoscimento risulta di difficile interpretazione a causa del cattivo stato di conservazione dell’affresco.
L’articolata ambientazione spaziale delle figure, rese con consapevole plasticità, ha spinto la moderna critica ad avvicinare questi dipinti alla pittura medievale romana tra XI e XII secolo, di cui il dato peculiare è costituito dai rimandi alla cultura carolingia e tardoantica.
Nella visione moderna il complesso sembra esaurirsi agli edifici con le rilevanze artistiche, separati dalle abitazioni che si trovano sul lato orientale. Il fabbricato con la facciata sulla strada, probabilmente doveva contenere le strutture monastiche del periodo di espansione nei secoli tardomedievali. (Figura 15).