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Cenni storici
Origini
Maiori, come accade per altre città, affonda le proprie origini nel mito. Plinio la fa discendere dalla dea Maja, altri vorrebbero che i Greci avessero innalzato un tempio a Maiori alla Dea BoxsturaI, che addirittura Ercole si fosse fermato ai piedi del Falerzio (presso l’attuale frazione di Erchie vi era un tempio a lui dedicato).
In realtà i primi insediamenti seguirono le alterne vicende delle popolazioni indigene colonizzate dagli Etruschi e poi definitivamente dai Romani. Furono appunto i patrizi della Roma Imperiale a cogliere per primi la vocazione turistica della Costa d’Amalfi come testimoniano i resti, rinvenuti nella vicina Minori, di una villa romana del I secolo d.C., tipico insediamento climatico-turistico dell’epoca con accesso diretto al mare come quelli di Positano e Capri.
Lo storico locale Filippo Cerasuoli dà per certo che il nome dell’antica città fosse Reghinna, dal nome del lucumone etrusco che la fondò, e da cui prese il nome anche il piccolo torrente che l’attraversava. È quindi da ritenersi che al nome Reghinna, nella successiva epoca romana, sia stato aggiunto l’aggettivo Major per distinguere il torrente da quello del comune limitrofo (Minor). In seguito il nome Reghinna scomparve e l’aggettivazione Major si trasformò nell’attuale nome della città: Maiori.
E’ da notare infine, a convalida dell’ipotesi del Cerasuoli, che la zona costiera del Salernitano, tra il VII e VI sec. a.C., fu l’unica regione in cui si ebbe uno sviluppo culturale della civiltà etrusca parallelo a quello dei centri veri e propri dell’Etruria (Toscana e Lazio).
Infine da citare l’ipotesi (A. M. Fresa), non in contrasto con quella del Cerasuoli, che Maiori fosse stato il rifugio dei superstiti dell’antica e prestigiosa città etrusca di Marcinna (molto probabilmente l’attuale Vietri sul Mare), distrutta da un cataclisma alluvionale o da un saccheggio, e che la tradizione tramandata per generazioni della loro indiscutibile perizia nautica sia divenuto, dieci secoli dopo, uno dei presupposti fondamentali per la fondazione della prima Repubblica Marinara d’Italia.
Nel IV a.C. i Picentini furono cacciati dai Romani dalle loro terre e spinti nel golfo di Salerno dove si fusero con le popolazioni indigene, e la Costiera divenne parte della colonia romana denominata Picentino, da punta Campanella a Paestum.
Con la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero Romano la Storia ammutolisce sulle sorti della divina Costiera e, eccezion fatta per le stazioni climatiche dei patrizi romani i cui resti ancora è possibile ammirare a Positano, Minori e ovviamente Capri, nulla è dato di sapere della Costiera e della nuova Reghinna dalla citata rifondazione fino alla Repubblica Amalfitana (VII - VIII sec. d.C.).
Repubblica Amalfitana
E’ opinione consolidata che la Repubblica Amalfitana sia nata tra l’830 e l’840 anche se il Cerasuoli pospone tale nascita all’872 con l’elezione del primo Doge, anteponendovi la costituzione nell’842 di una confederazione degli Stati Amalfitani.
Nei secoli IX e X la Repubblica Amalfitana visse il periodo di più grande splendore e, al di là delle irreali ipotesi agiografiche dello storico M. Camera circa una popolazione complessiva del Ducato di mezzo milione di abitanti, <<... la vetusta celebrità amalfitana non derivò dalla fantasticata topografia, né la grandezza di Amalfi consistette nell’iperbolico numero dei suoi abitanti; chè bensì l’uno e l’altra furono parto di sagacia, di bravura, di ingegno dei popoli costituiti nell’amalfitana confederazione>> (F. Cerasuoli).
Che il Ducato nascesse da una confederazione è dimostrato anche dalla rappresentanza che ogni città portava in seno al nuovo stato: Amalfi capitale e sede del governo e dell’episcopato, Atrani sede della Dieta dove veniva nominato il Doge (nell’attuale chiesa del Salvatore), Positano sede di una scuola nautica, Minori di arsenali; infine Maiori fu sede di numerosi arsenali e dell’Ammiragliato, nonché della Dogana e del Fondaco del sale. Ogni città dovette rinforzare le proprie fortificazioni ed è in questo periodo che a Maiori venne costruito un potente baluardo fortificato detto, dal nome di un’antica chiesa, di S. Sebastiano di cui ancora oggi si possono apprezzare alcune vestigia. Questa poderosa opera fortificata era aperta verso la spiaggia con tre porte e davanti vi era un grande fossato collegato con le porte mediante ponti levatoi.
Una seconda linea difensiva era costituita da tre torri cardinali e una serie di torri intermedie che dal fortilizio si portavano fino a Ponte Primario. Nell’ambito di questa seconda linea di difesa, infine, fu costruito sul colle che domina da nord tutta la vallata un grande castello che prese il nome di S. Nicola di Thoro - plano e che è tuttora esistente nella sua struttura perimetrale con le sue torri, caserme e cisterne. Un altro fortilizio venne costruito su un grosso promontorio collinoso e chiamato Rocca S. Angelo di cui nulla rimane perché oggi al suo posto c’è il monumentale Santuario dedicato a S. Maria a Mare.
In quello che oggi è il rione S.Tecla nacquero gli arsenali e nei pressi dell’attuale via Barche a Vela (borgo S. Sofia) vi erano il Palazzo dell’Ammiragliato, le dogane e il Fondaco del sale. In questo periodo di splendore per tutto il Ducato amalfitano, i borghi di Santa Tecla e Santa Sofia arrivarono ad una totale saturazione demografica e da essi nacquero due comunità, che separandosi diedero luogo, a est lungo la costa maiorese, ai villaggi di Salicerchie ad oriente di Maiori, e di Erchie, oltre Capo d'Orso.
Negli arsenali repubblicani di Maiori sarebbe stato dato per la prima volta il nome di Tramontana al vento freddo spirante dal Nord, dalla valle del limitrofo comune di Tramonti. Per secoli questo nome fu dipinto sulla Rosa dei Venti dagli amalfitani a cui è data la paternità della bussola. Gli arsenali di Maiori continuarono la loro attività anche dopo la caduta della Repubblica amalfitana e costruirono navi anche per il reame di Napoli.
Dalla decadenza della Repubblica ad oggi.
Con l'invasione dei Saraceni, dei Normanni e poi dei Pisani, Amalfi e tutte le cittadine della costa, che erano state splendide località popolate e fortificate, ricche di sontuosi palazzi ornati di affreschi, marmi colonne e fontane, si avviarono a diventare modesti paesi la cui economia si basava sull'agricoltura, pesca e artigianato locale. Con la decadenza mercantile e marinara l'abitato e le maggiori attività di Maiori ripresero a disporsi lungo la valle del Reginna dove a cavallo del corso d'acqua erano dislocate la cartiere. Anche le industrie molitorie, laniere e teliere erano alimentate dallo stesso corso d'acqua, tanto da formare un complesso che, con la parte a monte in territorio di Tramonti, costituiva la maggior concentrazione di opifici della costiera. Nella prima metà del secolo scorso, in un momento di particolare floridezza economica, fu redatto un progetto per un piano di sistemazione della fascia a mare dell'intero abitato ricco di edifici pubblici, per tutte le occorrenze municipali e mandamentali. Questo piano approvato nel 1841 non fu mai eseguito.
Maiori ha goduto nel corso dei secoli di numerosi attestati e privilegi da parte di Re e Pontefici dell’epoca tra cui vanno menzionati: il titolo di <<Città Regia>>, del quale venne insignita da Re Filippo IV di Spagna nel 1662 e il titolo di "Insigne Collegiata", tuttora riconosciuto, con cui venne insignita dal Pontefice Giulio II nel 1505 l’allora Basilica, sede di Rettoria, di S. Maria a Mare.
Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo del neo-realismo, Maiori fu scelta da Roberto Rossellini come set per alcuni dei suoi film: Paisà, Viaggio in Italia, Miracolo, La macchina ammazzacattivi.
Molti maioresi hanno partecipato come attori, secondo i dettami del neorealismo, ai film di Rossellini, certamente non ultimo il famoso scugnizzo del film Paisà.